Figlio maggiorenne che non studia né lavora: quando decade il diritto al mantenimento




Figlio maggiorenne che non studia né lavora: quando decade il diritto al mantenimento

I genitori sono tenuti a mantenere i figli fino al raggiungimento dell'indipendenza economica, anche oltre la maggiore età. Ma cosa succede se il figlio, ormai adulto, non si impegna negli studi e rifiuta offerte di lavoro? Può continuare a pretendere l'assegno di mantenimento? Una recente ordinanza della Cassazione fa chiarezza sul punto.

Il caso



Un padre aveva chiesto la revoca o la riduzione dell'assegno di mantenimento di 1.000 euro mensili per il figlio maggiorenne, sostenendo che quest'ultimo, pur avendo interrotto gli studi, non cercava lavoro e aveva rifiutato concrete proposte di impiego.

Il Tribunale aveva accolto la domanda, ma la madre aveva proposto reclamo, sostenendo che il figlio aveva dovuto lasciare il lavoro e declinare altre offerte per assistere la sorella gravemente malata, alla quale doveva donare il midollo osseo.

La Corte d'Appello, pur riconoscendo la negligenza del giovane, aveva solo ridotto l'assegno a 500 euro, ritenendo che la giovane età e le vicende familiari giustificassero in parte il mancato raggiungimento dell'autonomia economica.

La decisione della Cassazione



La Suprema Corte ha censurato la sentenza di appello per vizio di motivazione, rilevandone le contraddizioni.

Secondo i giudici di legittimità, una volta accertata in concreto la negligenza del figlio negli studi e nella ricerca di un'occupazione, non si può giustificare il suo stato di dipendenza economica con considerazioni generiche sulla difficoltà per i giovani di trovare lavoro, soprattutto se in contrasto con le risultanze processuali.

Di regola, infatti, la provata inerzia colpevole del figlio maggiorenne comporta la perdita del diritto al mantenimento da parte dei genitori.

Neppure le difficoltà legate alla malattia della sorella possono costituire una giustificazione permanente per lo stato di inattività, in mancanza di una chiara delimitazione temporale e di un richiamo all'obbligo del giovane di attivarsi una volta superate le contingenze sfavorevoli.

I principi stabiliti dalla Cassazione



In sintesi, la Suprema Corte ha affermato che:

- Il diritto al mantenimento viene meno quando il figlio maggiorenne, pur se non autonomo economicamente, tiene una condotta negligente e inerte negli studi e nel lavoro

- Non basta invocare generiche difficoltà del mercato del lavoro per i giovani, se risulta provato il rifiuto di concrete offerte di impiego

- Eventuali difficoltà contingenti (come una grave malattia di un familiare) possono giustificare solo temporaneamente l'inattività, ma non possono legittimare sine die la rinuncia ad impegnarsi per rendersi autonomi

- Il giudice deve sempre motivare adeguatamente le ragioni della permanenza, anche parziale, dell'obbligo di mantenimento, quando sia accertato un atteggiamento di inerzia colpevole

Conclusioni



La pronuncia della Cassazione ribadisce che il diritto al mantenimento dei figli maggiorenni non è incondizionato, ma presuppone l'impegno costante del giovane per conseguire l'autonomia economica attraverso gli studi o il lavoro.

Un principio che responsabilizza i figli, chiamandoli ad attivarsi con diligenza per limitare nel tempo la dipendenza economica dai genitori, e che al contempo sollecita i giudici a valutare in concreto le ragioni del mancato raggiungimento dell'autosufficienza, senza accontentarsi di giustificazioni generiche o non circoscritte nel tempo.

Un equilibrato bilanciamento tra solidarietà familiare e responsabilità individuale, per favorire un sano e progressivo passaggio dei giovani all'età adulta.

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